Facebook, solo “facce da libro”?
Sappiate che tutto, ma proprio tutto quello che
pubblicherete, può influire sulla vostra vita reale
La saggezza popolare recita “ci vogliono anni per costruirsi
una buona reputazione, pochi secondi per distruggerla”. Niente è così vero come
sui social network. La mia personale esperienza con la community fondata da Mark
Zuckerberg è cominciata qualche anno fa, un giorno in cui mia figlia esordì
dicendo: «Mamma, tu che sei una giornalista e che lavori nel campo della
comunicazione devi essere aggiornata su tutto quello che riguarda la
comunicazione, i nuovi media, le tecnologie… non puoi non avere un profilo su
Facebook!».
Detto fatto, presi molto seriamente l’appunto avanzato dalla
figlia e mi apprestai a creare il mio profilo sul noto social network. Devo
ammettere che sulle prime dovetti vincere non poche resistenze interiori: ma
che senso aveva per una persona della mia età inserirsi in una comunità
virtuale composta da ragazzini e studenti del liceo (al tempo non avevo la
minima idea di quanto fosse variegato l’universo Facebook)?
Ora, devo chiedervi di essere indulgenti nei miei confronti.
Da giornalista della carta stampata, ho sempre visto il mondo attraverso i
caratteri tipografici di quotidiani, mensili, inserti, allegati, tutte cose
concrete che recavano firme a volte prestigiose, spesso conosciute e note.
Insomma, la credibilità della “fonte”, l’autorevolezza, “il mestiere” non erano
e non sono ancora oggi solo parole, per me. Ero seriamente preoccupata di
mettere alla berlina, sulla pubblica piazza oltretutto, la credibilità e la
professionalità così faticosamente costruite in anni di gavetta. Anni durante i
quali alle conferenze stampa non mi salutava nessuno, dovevo spiegare
profusamente per quale testata lavoravo e precisare che no, non si trattava di
quella on line e i fotografi mi si piazzavano davanti strattonandomi senza
tanti complimenti. Ma questa è un’altra storia di cui parleremo magari in un
altro articolo…
Detto fatto, dunque, eccomi on line su Facebook. La
registrazione non richiese più di qualche minuto, fu la ricerca di una foto da
inserire nel profilo che si rivelò una vera e propria impresa. Non avevo foto
recenti, anzi per meglio dire non avevo foto che non fossero state scattate in
situazioni conviviali, con le amiche, con le nipotine. Quelle con le amiche non
potevano essere pubblicate senza il loro consenso e poi in nessuna di queste mi
piacevo: o facevo smorfie strane, o la mise scelta per l’occasione non mi
sconfinferava, oppure mi ricordavano momenti della vita non proprio felici.
Delle foto con le nipotine poi neanche a parlarne, pendeva sul mio capo il veto
inflessibile di mia figlia che temeva (secondo me, a ragione) che pubblicarle
su una vetrina “globale” potesse essere rischioso. Si sa, gli orchi sono sempre
in agguato. E quindi? D’intesa con la figlia contestatrice, quella che
inorridiva per la mia assenza da Facebook, decisi di farne qualcuna “all’uopo”,
insomma, una foto che sopperisse alla bisogna. No, no, niente da fare. Le foto
in posa, perché nonostante tutti gli sforzi si capisce perfettamente che uno si
è messo in posa, erano ancora peggio della peggio
foto con le amiche. Quindi, con le poche nozioni di Photoshop acquisite da
autodidatta ne ho ritoccata una ripresa in una pizzeria, con piatti e
tovaglioli sullo sfondo ma dove sfoggio un sorriso davvero naturale.
Soddisfatta, andai a dormire i miei sonni tranquilli.
Niente di più sbagliato. Imparai, qualche tempo dopo, quanto
sia pubblica la piazza virtuale. E quanto l’azione apparentemente più innocua
possa invece diventare un’arma a doppio taglio e vedremo tra poco perché.
Tuttavia, nelle prime settimane dopo la registrazione sul
mio profilo Facebook regnava la calma piatta. Occasionalmente andavo a visitare
la mia pagina, che quasi subito appresi chiamarsi bacheca, e ne uscivo un po’
delusa ma, anche, piuttosto perplessa circa l’utilità della mia presenza sul
social network.
I primi amici mi furono inviati dalla figlia ribelle che
li pregò di concedermi tale privilegio, in nome dell’amicizia che nutrivano per
lei e anche perché mossi a compassione da questa immigrata digitale di
seconda scelta.
Poco per volta coinvolsi anche altri amici-coetanei che,
loro malgrado, si lasciarono persuadere e finirono per creare a loro volta un
profilo su Facebook. Finalmente la bacheca cominciava ad animarsi, tuttavia
permanevano due grosse problematiche: la mancanza quasi totale di tempo da
trascorrere sul network (condizione essenziale per costituire una rete
significativa di scambi e di relazioni che generi a sua volta contenuti
interessanti che coinvolgano anche gli altri utenti) e la sostanziale mancanza
di una motivazione. “Insomma - mi chiedevo - ma perché diavolo le persone
perdono il loro tempo per scrivere a una moltitudine di sconosciuti cosa stanno
facendo in quel momento, mentre altre persone perdono tempo a leggere cosa sta
facendo una moltitudine di sconosciuti in quel momento?”. Sinceramente, è una
risposta che non sono ancora riuscita a darmi.
Posso tuttavia affermare che un primo effetto collaterale
della mia presenza sulla community virtuale arrivò quasi subito, con una bella
critica sulla foto che avevo scelto per il profilo. Il critico in questione si
lamentò dello sfondo, quasi che il soggetto in primo piano, cioè io, non fosse
neanche da prendere in considerazione. Regola n. 1 dei social network:
soppesate attentamente ogni singola azione, informazione, foto, immagine,
commento prima di clikkarne la pubblicazione. Nella più completa privacy e nel
silenzio del vostro salotto, o del vostro ufficio, è difficile (diciamo pure
impossibile) arrivare a percepire in tutta la sua portata la “pubblicità” delle
vostre azioni. Riuscite ad immaginare la vastità delle persone che
“visiteranno” il vostro profilo e che vedranno, apprenderanno, conosceranno
tutto quello che riguarda la vostra vita? E tra queste persone ci saranno amici
veri (rari), conoscenti (molti), nemici (tanti? Pochi?) e perfetti estranei (a
migliaia, come se piovesse) che, attratti da qualche particolare, decideranno di farsi un po’ di
fatti vostri.
E non cadete nell’errore di credervi al sicuro grazie alle
limitazioni che porrete all’accesso sul vostro profilo, alle flag che
sceglierete per impedire a chi non fa parte della vostra rete di amicizie di
curiosare tra le vostre informazioni. Finirete per cedere al desiderio di
vedere il numero delle vostre amicizie lievitare ai tre zeri, pur di dimostrare
al mondo intero la vostra popolarità concederete l’amicizia anche a chi amico
non è. Qualche volta lo farete solo per il timore di non offendere qualcuno, o
perché non sta bene ignorare le richieste di amicizia. Già questo fatto di
per sé farà in modo che al vostro profilo possa accedere un bel numero di
persone che a malapena conoscete anzi, diciamo la verità, se le incontraste per
strada sicuramente non le riconoscereste né tantomeno salutereste. Ma non
finisce mica qui: avete mai pensato che i vostri amici hanno, a loro volta,
una schiera di amici e di amici degli amici? È qui che ci si rende conto
della validità della teoria dei sei gradi di separazione, l’ipotesi secondo
la quale qualsiasi persona può essere collegata a qualunque altra persona nel
mondo attraverso una catena di conoscenze costituita di non più di 5
intermediari. In sintesi: il mondo è piccolo e un vostro commento potrebbe
essere letto da un abitante della Nuova Zelanda in tempo reale. Il che non
sarebbe poi questo gran danno se, al posto del neozelandese, il commento magari
un po’ politicizzato, o scollacciato, o rivelatore di vostri gusti personali un
po’ discutibili o non accettati secondo il comune senso del pudore non venisse
letto dal vostro futuro datore di lavoro, o potenziale cliente, o
fidanzato/marito/figlio/genitore/suocera/genero e così via lungo la scala di
ogni grado e parentela.
Ma torniamo alle foto. Io mi diverto tantissimo a guardare
quelle pubblicate dagli amici/amiche. Vedi casa loro, i loro cani, gatti, canarini.
Vedi la vista di cui godono dal loro terrazzo, vedi gli amici invitati a cena
una sera d’estate, vedi il marito/compagno in ciabatte mentre legge il giornale
o fa colazione o impegnato in qualche buffa riparazione casalinga. Vedi le foto
scattate in vacanza e qualche volta magari sospiri perché tu in vacanza non ci
vai da un po’ di tempo e ti piacerebbe proprio trascorrere qualche giorno al
mare. Spaccati di vita, per dirla con gergo tecnico. Per te, tutto finisce lì,
con qualche malinconica considerazione su quanto sia più verde l’erba del
vicino. Ma a quanto sembra la nostra vita pubblica ha fatto gola al business,
che spia i nostri profili per trarre informazioni, proporre le sue merci, fare
ricerche di mercato, carpirci i segreti per fabbricare il prodotto di successo
della prossima stagione, quello che meglio incontra i nostri desiderata più
nascosti e impellenti. Chissà, forse anche il nostro Super Mario sta
formulando qualche pensierino sul formidabile calderone di notizie che è
Facebook. Dopo Cortina e le vie della moda di Milano, saranno forse i social
network i prossimi rivelatori di reddito…
E la mia reputazione? Finora non ne ha risentito tantissimo.
Sono consapevole, tuttavia, di essere divenuta mio malgrado un personaggio
pubblico. Come gli altri milioni di persone connesse a Facebook. Chi avrebbe mai detto, più di vent’anni fa, che Internet, la rete
globale, avrebbe avuto un successo così dirompente? Ma ve li ricordate gli
esordi di Internet… io sì! (Il resto nella prossima puntata…)
The Doctor in Social Media Addiction